giovedì 15 marzo 2007

(Piccola parentesi Real Kendo-2)



Ecco un piccolo omaggio alla conoscenza telematica che si è venuta a creare, con questo blog, tra me e Laura!
Nello sfogliare le pagine del sito www.shubukan.it, stavolta la sorpresa è toccata a me!
Guardando le foto dell'ultimo Trofeo dei Laghi, ho visto che ... ci sono anch'io!!! E se la kendoka ritratta sei tu, Laura, è proprio singolare e divertente, ritrovarci riunite in questo modo! :-)


Io sono la ragazza sullo sfondo con la maglietta rossa e la minigonna jeans.
Per gentile concessione del M° W.Pomero.

lunedì 12 marzo 2007

(Piccola parentesi Real Kendo)

CONGRATULAZIONI LAURA !!!
TERZA CLASSIFICATA AI CAMPIONATI ITALIANI !!!

CONGRATULAZIONI ANCHE AL MIO ISTRUTTORE CHRISTIAN FILIPPI CAMPIONE ITALIANO !!!


UN BACIO AI MIEI COMPAGNI DEL CUS VERONA CHE SI SONO COMUNQUE DISTINTI PER IMPEGNO E DETERMINAZIONE !!!

martedì 6 marzo 2007

L'allenamento


Ciao! Questa volta non parlerò di un incontro specifico, ma di un aspetto fondamentale della pratica del virtual kendo: l'allenamento. Con un compagno o da soli, l'allenamento è il mezzo per migliorare il nostro rendimento, ove fossimo carenti; una volta individuati i nostri punti vulnerabili, l'allenamento ci aiuta a renderli più forti.
L'allenamento è imprescindibile ed è talmente importante che, al di là delle predisposizioni naturali, variabili da individuo ad individuo, anzi direi più che altro, indipendentemente dai diversi tempi di apprendimento di ciascuno, è noto che: CHIUNQUE SI ALLENI, MIGLIORA. Punto. Quale che sia il livello, quale che sia l'elemento su cui concentrare le energie, la conseguenza dell'allenamento è sempre quella: chi si allena ottiene risultati, in riferimento al punto di partenza.
Bella scoperta, direte voi.
Eppure, questa riflessione non è poi così immediata se la si trasferisce nella vita quotidiana: quante volte, infatti, mi sono paralizzata di fronte a cose che ritenevo IMPOSSIBILI da affrontare? Quante volte, nei confronti di qualcosa che sentivo lontano dalle mie capacità, ho usato la facile scorciatoia della paura che recita:
"Chi? Io? No, non è per me! Non sono tagliata per queste cose!"
oppure
"Sono fatta così! E' il mio carattere, non posso farci nulla!"
o ancora
"Non è nella mia natura! Non mi ci vedo!"???

Ma se è vero che basta allenarsi e le cose migliorano... se io affrontassi una situazione per me apparentemente impossibile da gestire, con l'ottica semplicemente di una cosa su cui dovermi allenare, non diventerebbe tutto improvvisamente più... accessibile? O, usando quella meravigliosa parola magica... POSSIBILE?
C'è chi arriva prima, chi dopo, chi ha una velocità di acquisizione delle informazioni maggiore rispetto ad altri, ma, in ogni caso, se una persona si allena verso un determinato obbiettivo, di sicuro la sua vita, rispetto ad esso, non sarà più come era in partenza, quando stava ferma lì impalata a osservare un traguardo "irraggiungibile".
Con l'ottica dell'allenamento, i mostri della paura perdono gran parte del loro potere paralizzante.
Ricordo ancora lo stupore che ho provato nel leggere l'autobiografia di Gandhi: avete presente, no, Gandhi? Quell'uomo, guida di un popolo, che ha portato un'intera nazione (che è poi assimilabile a un continente) all'indipendenza?
Ebbene, quest'uomo, giovane studente di legge se non erro, era terrorizzato al solo pensiero di... dover parlare in pubblico!
Raccontava di come, una volta, in una piccola riunione, chiamato a dare il proprio parere, si alzò terrorizzato, tremante, rosso, in preda all'ansia, e di come poi, così paralizzato, dovette sedersi, tra i ghigni degli altri, senza essere riuscito a dire nulla.
Se si fosse fermato a quell'ostacolo che vedeva come una montagna insormontabile, e avesse cominciato a giustificare la propria paura con le solite comode frasi "Non ci riuscirò mai! Non è alla mia portata! Gli altri sono più predisposti... ecc. ecc." non sarebbe diventato affatto il grande uomo che invece è diventato, semplicemente prendendo atto delle proprie difficoltà e lavorando per migliorarle.
Come in un allenamento.

giovedì 1 marzo 2007

Bene! E' ora di impugnare la shinai!


A tal proposito preciso che, negli incontri che descriverò, io sarò contraddistinta dal colore bianco, mentre il mio avversario di turno, dal rosso.
Inizierò col narrarvi di un piccolo shiai avuto nei giorni scorsi, risoltosi con 1 bel men (bianco) a 2 (men, do - rosso).
Il valore educativo del kendo, del resto, si esprime anche nel saper accettare serenamente la sconfitta, farne tesoro per il futuro apprendendo da essa, trasformandola così, in un certo senso, in una vittoria a posteriori.
L'incontro si è svolto tra AMA (Kendo CUS Verona - eh, fatemela passare, io mi sento ancora dei loro) e... RIFIUTO DELL'AIUTO (dojo: il mondo intero).
Mi sono trovata diverse volte a misurarmi con un mio acerbo istinto da crocerossina, non intendendo con questo definire quell'atteggiamento di malcelato autocompiacimento proprio di alcune forme pietistiche di aiuto organizzato; quell'atteggiamento, per intenderci, che ha come motivazione sotterranea e reale non tanto il bene dell'altro, quanto il proprio bene, sotto forma di gratificazione per il fatto di "sentirsi buoni". Anche se non nego di aver scoperto, terrorizzata, di essere caduta anch'io, in più di un'occasione, in questo giochetto dell'ego, non è a questo che mi riferisco quando parlo del mio istinto da crocerossina, definendo invece così, in modo canzonatorio, il mio bisogno di aiutare chi sento che ha sofferto profondamente, in maniera analoga alla mia.
Dunque non si tratta di una situazione in cui uno dei due si trova su un piedistallo ad elargire magnanimamente dall'alto il suo "bene", quanto piuttosto una posizione di entrambe le persone sullo stesso piano di una comune sofferenza.
Dato che io, ad un certo punto, ho dovuto ammettere a me stessa di aver bisogno di aiuto, e, una volta ammesso, l'ho desiderato fortemente, mi viene spontaneo voler aiutare chi sento che ha sofferto come me, perché comprendo quel dolore, lo riconosco nell'altro perché l'ho vissuto (non potrei ri-conoscere, ciò che non... conosco, infatti non sento questa cosa con tutti indifferentemente).
Con alcune persone dunque, mi capita di sentire una pugnalata nello stomaco appena le vedo per la prima volta.
Non le conosco, non so chi sono, ma c'è quel qualcosa che percepisco nell'aria...
Ed è proprio con una di queste persone che, recentemente, mi sono misurata in uno shiai.
Il men a mio favore è proprio questa sincerità della mia intenzione. Il mio kendo virtuale da principiante può essere ancora goffo, immaturo, senza forma, ma la forza del colpo vincente che sono riuscita a tirare, per quanto in modo maldestro, si riassume tutta nella mia intenzione, che ho sentito sincera.
Ma subito, mi sono scontrata con una pesante reazione da parte di questa persona. Io avevo tirato un men pesante, volutamente (non entro nel particolare). La reazione è stata serrata, di totale chiusura e rifiuto, con notevole veemenza.
Io ho continuato a mirare al centro, a pressare, non ho capito che mi dovevo allontanare in quel momento e zack!, mi sono beccata un men ben piazzato: e cioè la consapevolezza che per aiutare gli altri bisogna essere veramente forti, non principianti come me, per giunta senza armatura! Bisogna essere forti, e bisogna essere usciti, maturi, dai propri problemi, mentre io, che pure sono cresciuta veramente molto da quando ho cominciato a lavorare su di me, comunque ancora riesco a mala pena a badare a me stessa! Come posso pensare, ora, di poter aiutare qualcuno, in modo veramente efficace?

Ma soprattutto, a farmi riflettere, è stato il do che mi sono cuccata subito dopo.
Do, perchè questa consapevolezza mi è entrata nelle viscere, e d'ora in poi è così che agirò: ho capito che non ha senso, né valore, voler aiutare qualcuno... che non ha chiesto di essere aiutato.
Intanto non avrà alcuna efficacia, perchè l'efficacia la determina soprattutto l'altra persona se ha desiderio di cambiare.
Inoltre, insistere è una grave mancanza di rispetto per quella persona, un'invadenza micidiale, perché quella persona non ha chiesto nulla. Altrettanto grave sarebbe negare un (tentativo di) aiuto a chi me lo chiedesse. A seconda della situazione, la stessa azione può essere terribile, o fondamentale.
Perciò, ho imparato che può essere importante gettare in ogni caso un sasso e vedere cosa succede. Se l'altro lo raccoglie, bene, può essere allora importante continuare per quella strada.
Ma se lo raccoglie per scagliartelo contro, perchè continuare?
Prendo atto, e continuo per la mia strada.