giovedì 1 marzo 2007

Bene! E' ora di impugnare la shinai!


A tal proposito preciso che, negli incontri che descriverò, io sarò contraddistinta dal colore bianco, mentre il mio avversario di turno, dal rosso.
Inizierò col narrarvi di un piccolo shiai avuto nei giorni scorsi, risoltosi con 1 bel men (bianco) a 2 (men, do - rosso).
Il valore educativo del kendo, del resto, si esprime anche nel saper accettare serenamente la sconfitta, farne tesoro per il futuro apprendendo da essa, trasformandola così, in un certo senso, in una vittoria a posteriori.
L'incontro si è svolto tra AMA (Kendo CUS Verona - eh, fatemela passare, io mi sento ancora dei loro) e... RIFIUTO DELL'AIUTO (dojo: il mondo intero).
Mi sono trovata diverse volte a misurarmi con un mio acerbo istinto da crocerossina, non intendendo con questo definire quell'atteggiamento di malcelato autocompiacimento proprio di alcune forme pietistiche di aiuto organizzato; quell'atteggiamento, per intenderci, che ha come motivazione sotterranea e reale non tanto il bene dell'altro, quanto il proprio bene, sotto forma di gratificazione per il fatto di "sentirsi buoni". Anche se non nego di aver scoperto, terrorizzata, di essere caduta anch'io, in più di un'occasione, in questo giochetto dell'ego, non è a questo che mi riferisco quando parlo del mio istinto da crocerossina, definendo invece così, in modo canzonatorio, il mio bisogno di aiutare chi sento che ha sofferto profondamente, in maniera analoga alla mia.
Dunque non si tratta di una situazione in cui uno dei due si trova su un piedistallo ad elargire magnanimamente dall'alto il suo "bene", quanto piuttosto una posizione di entrambe le persone sullo stesso piano di una comune sofferenza.
Dato che io, ad un certo punto, ho dovuto ammettere a me stessa di aver bisogno di aiuto, e, una volta ammesso, l'ho desiderato fortemente, mi viene spontaneo voler aiutare chi sento che ha sofferto come me, perché comprendo quel dolore, lo riconosco nell'altro perché l'ho vissuto (non potrei ri-conoscere, ciò che non... conosco, infatti non sento questa cosa con tutti indifferentemente).
Con alcune persone dunque, mi capita di sentire una pugnalata nello stomaco appena le vedo per la prima volta.
Non le conosco, non so chi sono, ma c'è quel qualcosa che percepisco nell'aria...
Ed è proprio con una di queste persone che, recentemente, mi sono misurata in uno shiai.
Il men a mio favore è proprio questa sincerità della mia intenzione. Il mio kendo virtuale da principiante può essere ancora goffo, immaturo, senza forma, ma la forza del colpo vincente che sono riuscita a tirare, per quanto in modo maldestro, si riassume tutta nella mia intenzione, che ho sentito sincera.
Ma subito, mi sono scontrata con una pesante reazione da parte di questa persona. Io avevo tirato un men pesante, volutamente (non entro nel particolare). La reazione è stata serrata, di totale chiusura e rifiuto, con notevole veemenza.
Io ho continuato a mirare al centro, a pressare, non ho capito che mi dovevo allontanare in quel momento e zack!, mi sono beccata un men ben piazzato: e cioè la consapevolezza che per aiutare gli altri bisogna essere veramente forti, non principianti come me, per giunta senza armatura! Bisogna essere forti, e bisogna essere usciti, maturi, dai propri problemi, mentre io, che pure sono cresciuta veramente molto da quando ho cominciato a lavorare su di me, comunque ancora riesco a mala pena a badare a me stessa! Come posso pensare, ora, di poter aiutare qualcuno, in modo veramente efficace?

Ma soprattutto, a farmi riflettere, è stato il do che mi sono cuccata subito dopo.
Do, perchè questa consapevolezza mi è entrata nelle viscere, e d'ora in poi è così che agirò: ho capito che non ha senso, né valore, voler aiutare qualcuno... che non ha chiesto di essere aiutato.
Intanto non avrà alcuna efficacia, perchè l'efficacia la determina soprattutto l'altra persona se ha desiderio di cambiare.
Inoltre, insistere è una grave mancanza di rispetto per quella persona, un'invadenza micidiale, perché quella persona non ha chiesto nulla. Altrettanto grave sarebbe negare un (tentativo di) aiuto a chi me lo chiedesse. A seconda della situazione, la stessa azione può essere terribile, o fondamentale.
Perciò, ho imparato che può essere importante gettare in ogni caso un sasso e vedere cosa succede. Se l'altro lo raccoglie, bene, può essere allora importante continuare per quella strada.
Ma se lo raccoglie per scagliartelo contro, perchè continuare?
Prendo atto, e continuo per la mia strada.

2 commenti:

ama ha detto...

Che bello, cara laura! Ti sento vicina! E ti ringrazio per le tue parole.
Infatti se hai vissuto esperienze analoghe a quelle descritte nel post, conosci anche la pesantezza del non essere compresa! Quando vuoi aiutare, tu sai quello che fai e perché lo fai, sai con quale intenzione agisci; dunque è veramente dura doverti scontrare con un diniego, renderti conto che ciò che fai non viene compreso.
Per questo, leggere il tuo commento e vedere che il mio vissuto può essere condiviso da altri, mi dà quella confortante sensazione di ... essere capita!
Grazie!

ama ha detto...

Ma pensa laura! Questo week-end vengo al Dynamic Dojo (dove c'è lo Shubukan, vero?), per fare uno stage di aikido (e... dare l'esame di shodan O_O !!!), ma temo che non ci sarà la possibilità di incontrarsi, perché suppongo che sarai impegnata con i campionati italiani! Le circostanze, a volte!!!....
In ogni caso, in bocca al lupo!