domenica 1 giugno 2008

Intervista a Caleb Crane, autore di "Simulacre".

Quasi tutti i kendoka conoscono il blog Simulacre, ricco di splendide immagini di kendo (e non solo) che l'autore coglie in intensi quanto rapidissimi attimi di agonismo, con una definizione ed un'espressività stupefacenti.
Già da un po' desideravo saperne di più su questo ragazzo americano di Boston, che vive in Giappone da più di quattro anni e che l'anno scorso a 29 anni ha fondato un'azienda di consulenza sulla sicurezza informatica. Amante della fotografia, è diventato fotografo professionale per Kendo World.
Così gli ho chiesto se potevo fargli un'intervista, ed ha accettato di buon grado: "Suona divertente."
La pubblicherò in tre parti (del resto non mi aspettavo risposte così lunghe e ricche) e pubblicherò poi la versione originale su virtualkendoenglish.blogspot.com.

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PRIMA PARTE
Vivere in Giappone

Perché hai scelto di vivere in Giappone? Si è trattato di un caso (ad es. per lavoro) o di un reale desiderio dovuto ai tuoi interessi (all'Università ti sei laureato in Scienze del Computer, ma hai studiato materie complementari come "Storia e Studi sull'Asia")? Come ci sei riuscito?

Ti risponderò a ruota libera, risposte tipo "flusso di coscienza". Spero che sia ciò che stai cercando.
Io volevo andare in Giappone. All'Università ebbi la possibilità di studiare un anno all'estero a Nagoya, ma questo avrebbe voluto dire non riuscire a laurearmi in corso. Ho pensato che le opportunità di trovare un buon lavoro sarebbero state molto maggiori una volta in possesso della laurea in Scienze del Computer, piuttosto che nelle mie materie complementari di Studi asiatici. Avevo ragione. Trovai un ottimo lavoro (in modo quasi del tutto casuale) che amavo e che mi tenne impegnato per cinque anni.
Durante la mia permanenza alla "Fidelity" ottenni qualche ottimo contatto con manager a Boston, nel Texas, a Hong Kong e Tokyo. Ho anche organizzato due viaggi di lavoro a Tokyo. Ho costruito grande tecnologia partendo da zero, comprato una casa con alti soffitti, preso una nuova macchina, una moto veloce, ho avuto qualche storia seria con delle ragazze ed ero generalmente soddisfatto. La vita era comoda.

Il modo in cui sono cresciuto è leggermente diverso dalla maggior parte degli americani. Vissi in una fattoria fino a cinque anni. Mia mamma e mio papà divorziarono (cosa tipica di noi americani, suppongo...) e da allora in poi vissi con mio papà nella fattoria durante l'estate e con mia mamma durante l'anno scolastico. All'inizio mia mamma aveva veramente poco. Vivevamo in una casa diroccata con una stufa a legna come riscaldamento. All'inizio lei non aveva neanche un letto su cui dormire. Lavorava in un locale in fondo alla strada e andava a scuola durante il giorno. Alla fine si laureò e cominciammo ad andare in giro e spostarci ogni anno così che lei potesse trovare un lavoro migliore.
Ad ogni anno scolastico dovevo adattarmi a un nuovo quartiere e a nuove persone. Non fu facile.

Durante le estati lavoravo in fattoria dal lunedì al venerdì con mio papà. Al sabato andavamo a Washington D.C. per vendere i nostri prodotti al mercato Est. Poi trascorrevamo il resto del week-end in D.C. con la mia matrigna. Nel luogo in cui lei viveva, io ero un totale estraneo, un outsider. Non ero andato a scuola con i ragazzi del posto, così nessuno mi conosceva. Il nostro quartiere era abbastanza carino, ma il vicinato potrebbe essere descritto come pericoloso. Ci furono delle volte in cui non mi sentii per niente al sicuro. Ho imparato a tener la testa bassa.

Così, all'età di quattordici anni avevo vissuto in quasi tutti i cliche sociali che l'America può offrire. Potevo tranquillamente dire alle persone di essere un povincialotto che vien dalla campagna, un ragazzo del centro città, un emarginato della periferia. Ero inoltre ormai abituato a cambiar casa costantemente.

A 19 anni ho vissuto in Cina durante l'estate e la mia vita ebbe una totale esplosione.
Una ragazza sull'aereo mi insegnò le mie prime due parole di cinese, così quando l'ufficiale dell'immigrazione mi chiese i documenti potei dire "Ciao" e "Grazie" al tipo con un carabina puntata verso di me. Al momento di lasciare la Cina sognavo e parlavo nel sonno in cinese. Queste frasi non erano complesse, al massimo il linguaggio di un bambino cinese, ma questo ha aperto una finestra in me. Mi resi conto che i miei tentativi falliti di imparare il francese e lo spagnolo a scuola non significavano che ero incapace di imparare un nuovo linguaggio. Tanto più che poteva essere divertente. La cosa più bella era incontrare persone di altri Paesi, vedere luoghi di interesse stranieri e mangiare enormi quantità di gran cibo che semplicemente non avrei potuto trovare di ritorno a casa.

La mia decisione di andare in Giappone fu probabilmente influenzata da tutte queste cose. Stavo bene con il mio lavoro e nella mia casa a Boston, ma stavo diventando inquieto e insoddisfatto. Ero abituato a muovermi. Ero abituato ad avere nuove esperienze ed essere catapultato costantemente in nuovi ambienti. Non stavo vivendo nuove esperienze. Stavo solo comprando cose. Quando ero all'Università volevo andare in Giappone, ma ho dovuto rinunciare a quell'opportunità. Sono stato benissimo in Cina, ma sono dovuto ripartire dopo solo tre mesi. Potevo imparare una nuova lingua, se mi ci fossi completamente immerso. A Boston vengono parlate veramente molte lingue, ma la full-immersion non è possibile.

Così un pomeriggio entrai nell'ufficio di un vecchio boss con un sacco di contatti in azienda. Gli dissi che volevo andare in Giappone. Sostanzialmente mi disse di stilare il mio curriculum vitae e di incontrare il signor Tal dei Tali. Feci come mi disse e dopo una breve intervista il signor TdT mi chiese quando potevo partire. Due mesi dopo avevo venduto la mia casa, archiviato la maggior parte delle mie cose ed ero su un aereo.

Nessuno dei miei diplomi ha avuto una diretta influenza sul mio lavoro e le interazioni che ho qui, ma sono sicuro che l'esperienza di studiare per questo e alcune delle informazioni che ho imparato a scuola mi sono state d'aiuto.

Vivere in Giappone è come ti aspettavi che fosse?

In Cina ho imparato abbastanza in fretta che avrei dovuto evitare di farmi delle aspettative se volevo divertirmi. Quando viaggio non programmo molto o non faccio molte ricerche riguardo alla nazione. Preferisco scoprirla in modo organico. In questo modo non mi costruisco nessuna aspettativa che possa essere drasticamente ridimensionata.

Non mi aspettavo che il Giappone fosse meraviglioso o terribile. Avevo letto qualcosa riguardo alla cultura e sapevo qualcosa della lingua, ma cercavo di rimanere aperto alle esperienze così come si presentavano. I libri di testo e gli show televisivi danno alla gente l'idea che il Giappone sia A, B e C, e che i giapponesi siano X, Y, e Z. Gli autori e gli scrittori presentano il Giappone (e ogni nazione) in un modo che induce le persone a pensare in bianco o nero. La gente se ne va con l'idea che sia sempre maleducato fare così e così, o che i Giapponesi non dicono mai così e così. Quando le persone vengono qui con questi preconcetti così limitati, certamente troveranno situazioni che confermano queste convinzioni, ma se guardassero in modo più franco e senza aspettative, allora troverebbero anche eccezioni. Gli antropologi sanno che è impossibile comprendere appieno un' altra cultura, perché le osservazioni che facciamo sono direttamente influenzate dalla nostra.

Per sintetizzare le mie chiacchiere: il Giappone è e non è quello che mi aspettavo. Ho cercato di invalidare le mie aspettative prima di venire qui, e ha funzionato.

Foto per gentile concessione di Caleb

8 commenti:

Giulia ha detto...

oooh finalmente è uscita, controllavo da giorni! Brava ama, bella intervista, e bellissima idea. E' bello leggerti!

PS: sbrigati adesso con la seconda parte :P

Giulia

GiO ha detto...

Grande Ama! Belin non ci sarei mai arrivato ;)

Bellissima intervista e complimenti per il personaggio scelto.

ps: ehi, perchè non provi a vedere se può interessare KI?

ama ha detto...

CIAO GIULIA!
Che bello sapere che mi segui !!!
Entro domani dovrei riuscire a pubblicare anche le altre due parti.

Ps- Complimenti per il Trofeo CIK! :-)

Per GiO: difficile da indovinare, vero? eh eh... diciamo che mi sono divertita... tanto il premio l'hai vinto lo stesso, no? (^___^)

KI, dici? Perché no? A chi dovrei chiedere?
Già sono contenta del fatto che Caleb mi ha detto che una volta pubblicata l'intervista metterà il link su "Simulacre". Che onore!!! ;-)

A presto allora con il seguito!
Ciao ragazzi!

Giulia ha detto...

wee ama, grazie dei complimenti!
Baci :)

Masaru ha detto...

Ok...adesso che ho letto anche questa intervista, voglio saperne di più!

Dunque, Ama: che fai nella vita? Sei una giornalista, una scrittrice?

Grazie per quel che vorrai farmi sapere...

ama ha detto...

Che faccio nella vita? Bella domanda!
Non so cosa sono, doc. Devo ancora scoprirlo...

Masaru ha detto...

vebbè, lasciati dire che questo vale per chiunque condisca la propria vita con un pizzico di autocritica e una spruzzata di fatalismo, ma...almeno un orientamento?

ama ha detto...

Grazie della sferzata che mi hai dato con la parola "fatalismo": brrr... che orrore! E' una cosa che aborro, eppure ci ricado ancora.
Ti assicuro comunque che non c'è molto da sapere. Per questo mi piace ascoltare storie di vita come quella di Caleb, stimolante e che dà molti spunti di riflessione. ;-)